giovedì 16 giugno 2005

Leopardi a Bologna.

Non vi è nulla di più provinciale che insistere troppo sui rapporti fra una città , la propria, e grandi personaggi che l’hanno vissuta.
Ma noi bolognesi siamo provinciali e, purchè lo si ammetta, non c’è alcun male ad esserlo.
Così è piaciuto nel recente passato, in occasione del bicentenario della nascita, indagare e mettere in mostra la vita di Leopardi a Bologna, magistralmente, dall’Archiginnasio.
La “Casa dei pensieri” ne riparlerà, proprio in quel cortile porticato, dalle trenta arcate, circondato dalla fantasmagoria delle insegne accademiche, il 25 Luglio, nell’ambito di una “due giorni” sulla poesia nella storia e nel presente della nostra città.
Si parlerà anche di Petrarca, di Umberto Saba e di Pasolini che qui nacque. Ma è da prevedere che il fragile e grandissimo Giacomo attirerà l’attenzione più di tutti. E’ un esempio unico di classico amatissimo, che nessuno può dimenticare, nessuno sente lontano, nemmeno a scuola.
Rammentiamo qui alcuni cenni di “biografia locale”, spigolando fra i materiali delle iniziative che gli furono dedicate.
Leopardi è nato, come è notissimo a Recanati, nel 1798.
Era naturale che Bologna, la seconda città dello Stato della Chiesa e sede di una Università antichissima, anche se indebolita dall’incuria e dalla ristrettezza culturale dei Legati pontifici, fosse la prima meta dei suoi viaggi nella vita, lontano dal natio borgo selvaggio.
A Bologna venne più volte tra il 1825 e il 1827, e in un’ ultima breve visita nel 1830.
Lo scambio tra Leopardi e Bologna non fu soltanto culturale ma esistenziale, i rapporti che potè avere condussero sul piano personale ad alcune durature amicizie.
Fu Pietro Giordani, allora famoso letterato, a indurlo la prima volta nel 1825 a venire a Bologna . Vi rimase tredici mesi, molto importanti per amicizie, letture, incontri, scritti e idee.
Giacomo non era un ignoto giovinetto perseguitato dall’incomprensione paterna, era , in verità, già circondato da una prima fama, proprio a Bologna infatti erano state pubblicate, dallo stampatore Nobili, le prime dieci Canzoni.
In un brano famoso Leopardi descrive la grande ospitalità, quasi assillante, dei bolognesi, o meglio della parte alta della città, dei suoi salotti periferici ma accoglienti. La città signorile è “quietissima, allegrissima, ospitalissima”.
Ma Bologna è per lui, come sempre per chi viene da un paesello, ostile, è una città, scura e criminosa, piena di assassini: “Qui si fa continuamente un ammazzare che consola: l’altra sera furono ammazzate quattro persone”.

Se il popolino lo inquieta, come i portici, capaci sì di promuovere conversazione ma, identicamente, di coprire delitti nell’oscurità, un poco meglio va con la buona società.
Era la Bologna di Carlo Pepoli, cui Giacomo dedicò una epistola in versi e di Pietro Brighenti, editore de Il caffè di Petronio, al quale Leopardi collaborò.
Il Conte Pepoli gli fu più vicino di altri, fin dal primo arrivo a Bologna, nel luglio del 1825, anch’egli letterato, anch’egli nobile. Leopardi prese a frequentare assiduamente sia Palazzo Pepoli, sia il salotto della sorella maggiore, la contessa Anna Pepoli Sampieri.

Si inserì anche nelle accademie cittadine, quella dei Felsinei e quella di Belle Arti.
Leopardi cercò di essere organico a questi "mondi", ambì a diventare segretario dell’Accademia di Belle Arti e ne condivise l’impostazione classicista.
La società delle lettere si confondeva con la società patrizia ed i suoi clienti. La Rivoluzione francese era passata e il Risorgimento era un fremito già importante ma non da tutti condiviso.

Della Bologna ecclesiale, piena di chiese e di processioni, nell’anno giubilare 1826, notò “la cosiddetta Festa degli Addobbi”.

“Cosa bella e degna di essere veduta” - la descrisse - “specialmente la sera quando una lunga contrada illuminata a giorno con lumiere di cristallo e specchi apparata superbamente, ornata di quadri, piena di centinaia di sedie tutte occupate da persone vestite signorilmente, pareva trasformata in una vera sala di conversazione”.
Abitava a pensione presso la famiglia Aliprandi, in una casa all’ingresso del Teatro del Corso, che dopo i bombardamenti del 1944 abbiamo perduto, in via Santo Stefano. Il suo quartierino era vicino a quella stamperia dove, dopo che negli ultimi mesi del 1825 aveva messo insieme tutte le sue opere per un’edizione d’insieme delle sue poesie, si pubblicò l’edizione dei Versi del conte Giacomo Leopardi “dalla Stamperia delle Muse” di Strada Santo Stefano 76.
Come tutti i “fuorisede” pensò al paese originario, pure tanto identificato, nelle poesie, col dolore di una esistenza precocemente angosciosa.
“In certe passeggiate solitarie che vo facendo per queste campagne bellissime, non cerco altro che rimembranze di Recanati” .
E come tutti cercò notizie e visito’ i compaesani.
“Qualche giorno fa, passeggiando per Bologna solo, - scrive alla sorella Paolina-vidi scritto in una cantonata Via Remorsella. Mi ricordai d’Angelina e del numero 488, che tu mi scrivesti in una cartuccia la sera avanti la mia partenza. Andai, trovai Angelina, che sentendo ch’io era Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s’alza”. Angelina Iobbi era stata la cameriera dei conti Leopardi e a Bologna aveva sposato un cuoco.

Leopardi a Bologna lavora in casa, lamentando la propria debole salute e il “bestialissimo freddo”.Pure arriverà a dare con fatica lezioni private per due ore e mezzo al giorno. E poi scrive e pubblica, come si è detto. Versi ma anche critica.
Il 23 giugno 1826 una sua lettera a Paolina, celebre agli studiosi, annuncia di aver terminato il commento al Petrarca, che pure scrive di non amare più, in nove volumi.

E, naturalmente, a Bologna Leopardi s’innamorò. È il 30 dello stesso giugno.E scrive: “Sono entrato con una donna in una relazione, che forma ora gran parte della mia vita. Non è giovane, ma è di una grazia e di uno spirito che supplisce alla gioventù. Ama ed intende molto le lettere…”. Era Teresa Carniani, quarantun’anni, fiorentina di origine, borghese di nascita nobilitata dal matrimonio con un Malvezzi, erudita. Si avvicinò al giovane poeta che raccomandò all’editore Stella un suo volume di studi ciceroniani. Forse il nome fu spiritualmente galeotto. Teresa era stato anche il nome secolare della sua “Silvia”. Una relazione importante.
Eppure presto la chiamerà “quella strega”.
Per Giacomo non fu mai facile ritrovarsi amato e, forse, amare. Ma sapeva di valere e lieto sarebbe di conoscere il nostro amore , continuo, per lui.

Davide Ferrari

Scritto per "La rivista della biblioteca Borges", Bologna