sabato 27 marzo 2021

WIDMANN E NOI DI FRONTE A DANTE.

Un articolo dello scrittore e traduttore tedesco Arno Widmann, critico verso le interpretazioni assolutistiche di Dante, con il primato e l'assoluta originalità che gli si tributano in via automatica, ha ricevuto risposte dall'Italia.

Tuttavia la maggior parte delle accuse a Dante attribuite a Widmann non sono mai state da lui scritte. Il difetto di Widmann un altro. E' giusto vedere qualunque scrittore o artista, anche i maggiori, inserito nel flusso della storia non isolarlo e mummificarlo per farne un dio poco interessante. Ma il metodo per contestualizzare un classico difficilmente si può ritrovare in ripetuti confronti con altri autori, vicini o lontani. Widmann pare invece ricorrere frequentemente a virtuali competizioni a due, Dante vs Maometto, Dante vs i trobadori provenzali, Dante vs Shakespeare. Queste competizioni, questi impossibili "slalom paralleli" dovrebbero verificare la consistenza del primato dantesco ed i suoi limiti. Non convincono. Soprattutto quando la corsa proposta è con autori che hanno vissuto Un'epoca del tutto differente e utilizzato una lingua del tutto differente. Ad esempio, secondo Widmann Dante indulge in giudizi morali su tutte le figure che incontra separando i buoni dai cattivi. Viceversa Shakespeare sarebbe giunto alla più profonda etica del dubbio irrisolvibile. Sono parole mie. Certamente Dante è uomo che reclama la libertà dell'evo medio che sta tramontando e delle sue ispirazioni alla purezza mentre Shakespeare vive nelle propaggini di una modernità che si annuncia in uno sviluppo fortemente influenzato da un Governo reale che per unificare una nazione, o più, come nel caso britannico, tende ad affermare la bontà assoluta del potere e quindi la sua emancipazione dal moralismo.
Ma proprio su questo punto le "torri" creative di Dante e di Shakespeare, le loro altezze vertiginose ci riportano tutto il fuoco della perennità delle contraddizioni dell'intera vicenda umana e vanno ben oltre lo schema generale che pure è loro proprio.
Ulisse si conduce all'empietà e alla morte per la insopprimibile volontà di scoprire ma alle sue parole è riferibile una delle definizioni assolute del retaggio umano. Parole dette all'Inferno, da un condannato ma che rappresentano l'uomo nella sua più vera e nobile attitudine. Dove dunque il semplicismo e la nettezza insostenibile delle divisioni di Dante fra buoni e cattivi che Widmann querela? E Shakespeare, mentre ci avverte con il suo personaggio che il mondo è più vasto di ogni ideologia e gli fa esprimere anche di fronte al più orrendo dei delitti il dubbio e non la volontà senza l'oscuro, senza il profondo, pure conduce Amleto alla giustizia, contro ogni calcolo, fino alla morte, fino alla rovina della dinastia e del Regno. Ecco allora la duplice natura dei classici. Figli del loro tempo e inintelligibili senza i suoi caratteri ma capaci di accompagnarci in fronte alla natura dell'uomo condannato in tutti i tempi a colpe e responsabilità senza le quali uomo non sarebbe.
Widmann, come tutti noi, potrà dunque liberare la sua lettura di Dante dal bosco animato e maligno dei confronti, mortifero come la foresta che avanza sul maniero di Macbeth, e seguire il poeta fino agli occhi dei suoi personaggi che vogliono mirare, si sa, e cielo e terra.